Scene da un matrimonio è l’episodio 4 della webserie TONALITÀ, la cifra di Vasilij Grossman prodotta da ItalianaContemporanea. Ciascun episodio ha un suo tono particolare. L’idea è di far sentire a chi legge l’ampiezza dei registri espressivi che il testo conserva anche in traduzione.
Nell’estate 1942 su Stalingrado grava ormai la minaccia della guerra, ma chi nella città vive, continua a vivere secondo le proprie abitudini. È così per Pavel Andreevič Andreev, operaio della fonderia Ottobre Rosso, e Varvara, sua moglie. La scena si svolge a casa loro, nella loro cucina. Lui sta cenando prima di iniziare il turno di notte in fabbrica, lei è in piedi pronta a servirlo come di consueto nei quarant’anni della loro vita comune. Ma per capire cosa succede, è necessaria qualche info sui protagonisti di questa scena.
Varvara
Scene da un matrimonio. Figlia di un meccanico, da ragazza Varvara era una vera bellezza, e le sue amiche dicevano che il matrimonio con Pavel non era stato una gran fortuna, dopotutto era solo capofuochista su un rimorchiatore del Volga. Una ragazza bella così avrebbe potuto mirare molto più in alto, ad esempio avrebbe potuto sposare un capitano, o il padrone di un ristorante all’imbarcadero di Caricyn, o un commerciante. Perché aveva scelto Pavel? Lui aveva minacciato di affogarsi nel Volga, se lei lo avesse respinto; lei gli aveva dato la sua parola, ed era stato per sempre. Certo, nei primi anni la sua vita di moglie era stata difficile; anche se non l’aveva mai confessato a nessuno, in realtà sognava di vivere a Saratov o a Samara, e d’andare a teatro in carrozza. Perché aveva sposato Pavel? Perché gli vuol bene. E lui ne vuole a lei. Pavel è un uomo per bene.
Ma com’è difficile vivere con lui! Che carattere faticoso! Pavel ha interessi diversi dai suoi. Gli è indifferente ciò che per lei è sommamente importante. Il sogno di Pavel non è quello di Varvara. Pavel sogna di prendere una barca e scendere lungo il Volga fino al Caspio, e da lì andare in paesi lontani. Varvara invece ama intensamente la sua casa, attorno ad essa si organizza la sua vita, la pulisce con attenzione, la tiene rinfrescata, dipinge il pavimento di legno ogni anno, e mette la carta da parati nuova. Risparmia per comprare qualche bell’oggetto, bei piatti, bei bicchieri, belle tende, qualche quadro, qualche pizzo; insomma le sue tre stanze, dicono invidiose le vicine, sono «una bomboniera».
Varvara coltiva anche il suo bel frutteto e l’orto. Suo marito le lascia tutto lo spazio che le è necessario, rispettoso del suo modo di essere, benché del tutto insensibile al fascino che quegli oggetti esercitano su di lei, e che lei accumula.
Pavel
Scene da un matrimonio. Pavel è anzitutto un operaio così esperto che gli ingegneri spesso gli chiedono consiglio ed evitano di contraddirlo. Lui non ha bisogno di consultare i dati di laboratorio per sapere cosa contiene un letto di fusione. Benché assiduo frequentatore della biblioteca, non ha mai letto niente sull’argomento della metallurgia o della siderurgia, né manuali sui processi chimici o chimico-fisici di fusione dell’acciaio. Non per disprezzo della scienza, che è la base del suo mestiere. È che i poeti «non hanno bisogno di manuali di poesia. Sono loro a determinare la nascita del verso e le leggi della parola». Pavel segue nel suo lavoro la stessa via degli ingegneri, solo che lo fa istintivamente. La competenza fisico-chimica è connaturata al cristallino del suo occhio, alla sensibilità tattile delle sue dita e delle sue palme, cioè delle sue mani, sta nel suo orecchio, e nella sua memoria, custode di decenni di lavoro.
Pavel è stimato in fabbrica. Questo dà a sua moglie Varvara molta soddisfazione. Varvara sa l’importanza di essere giudicato come bravo operaio in una città operaia. Un volta, per un Primo Maggio erano venuti a trovarli a casa il direttore e l’ingegnere capo della fabbrica: che emozione vedere le due automobili ferme davanti alla sua casa e che gusto l’invidia delle vicine! Le si erano gelate le mani per l’agitazione, mentre suo marito si comportava come fosse venuto a trovarli quel buffone del suo amico Poljakov.
Poljakov
Scene da un matrimonio. Volontario alla difesa della città, il vecchio Poljakov è un uomo che ama la vita, che ama molte cose, non una sola. Ama andare al cinema e a teatro, gli piacciono le partite di calcio, possiede una barca per la pesca, ama il fiume, le sue acque dorate e vellutate come olio di girasole, fresche e tristi nel silenzio nebbioso del mattino, calde e scintillanti nei giorni di sole e di vento. Ama le donne, ne parla con molta disinvoltura, le ammira, gli piacciono.
Veterano dell’Armata Rossa, Poljakov è prudente, e generoso, nel giudicare gli altri. È significativo il suo rapporto con Gradusov: non lo stima, e non può stimarlo, ma accetta il suo rasoio come regalo d’addio, il rasoio che il giovane Sergej non ha voluto in segno di disprezzo, e gli fa notare che «ognuno vive come può, e tu non hai lezioni da dare a nessuno».
Dopo la guerra civile Poljakov ha lavorato a Rostov, a Mosca, a Baku. A Stalingrado tutti lo conoscono. È un bravo falegname. Parla spesso di quello che ha costruito in città, le assi, i parquet, le porte, le finestre,… e suoi compagni hanno l’impressione che in realtà questo falegname, sempre contento e brontolone, sia giunto nella steppa per difendere col suo mortaio tutto quello che ha costruito. Perché è uno che ama il suo lavoro. Quando parla dei suoi attrezzi da falegname e degli oggetti che costruisce siano essi di frassino, d’acero, di quercia, di faggio, ha in viso l’espressione del goloso; i suoi occhietti brillano, quando espone la sua semplice filosofia di vita: il suo lavoro serve a far piacevole la vita della gente; e chi lavora è degno d’essere libero, sazio e felice.
La lite in cucina
Dunque Pavel e Varvara sono in cucina. È l’ora di cena: l’ora migliore per le recriminazioni e le lamentele domestiche. Pavel sta per uscire per il turno di notte. Varvara è tesa e nervosa, perché ha sempre più paura di restare in città. È atterrita dal passaggio degli aerei e dal fragore sempre più vicino delle bombe.
Così quando Pavel dice che vorrebbe anche lui partire volontario, come il suo amico Poljakov, Varvara con finta noncuranza, mentre ispeziona i bottoni della giacca da lavoro di suo marito, lo provoca deliberatamente.
Pavel tace. Varvara ormai è senza freno: Natal’ja, la nuora, è nel turno di notte all’orfanotrofio dove lavora, e Pavel sta per uscire, e potrebbe esserci un attacco nemico, e cosa farà allora, sola col nipotino … Pavel continua a tacere, ma alla fine si spazientisce: «Non ci sarà nessun raid, e se anche fossi qui, cosa potrei fare? non ho un cannone antiaereo!»
La casa
Scene da un matrimonio
Mai litigato prima per la casa e gli oggetti enormemente cari a Varvara, prima! Ma da quando ha deciso di partire, Varvara è scontenta. Ha nascosto sottoterra in cantina, nell’orto, nel frutteto le cose più preziose, ma è preoccupata: le sue amate cose si rovineranno, saranno rubate, e chi le potrà mai custodire? Certo, suo marito rimane, è un ostinato che non vuol partire, e pensare che ha un’invalidità di seconda categoria; ma è un invalido, un vecchio, potrà mai fare la guardia alla casa?
«Insomma, replica lui stizzito, non ho capito se ti preoccupi per me o vuoi che resti a fare la guardia ai tuoi tesori»
La nuora
La nuora è un altro argomento di aspra discussione tra marito e moglie. Pavel le rimprovera il malanimo contro Natal’ja.
È un dolore senza consolazione ciò che rende Varvara così dura con Natal’ja: è il dolore per la perdita di Anatoli, suo figlio che è morto al fronte. È un’intollerabile ingiustizia che sua figlio sia morto e la nuora lavori, vada al cinema, rientri tardi la sera, insomma che non sia morta. Le due donne soffrono il medesimo lutto, ma ognuna a suo modo, e nessuna delle due può consolare il pianto dell’altra.
Scene da un matrimonio
Scene da un matrimonio
Separazione
Varvara e Natal’ja Partono infine con il piccolo Volodia, s’imbarcano proprio nel giorno in cui Stalingrado è bombardata, e solo per caso non finiscono in fondo al Volga come Marusja che è con loro. Varvara muore poche settimane dopo per una polmonite.
Pavel, che è ritornato sulla riva destra dopo essere stato evacuato con tutti gli operai delle fabbriche nei primi giorni di settembre, lavora adesso alla centrale: il suo amico Spiridonov gli ha trovato un posto e lì rimarrà fino alla liberazione di Stalingrado. Riceve una lettera che gli annuncia la morte di Varvara e si chiude sempre di più in se stesso. Gli manca sua moglie. La sua vita era sempre stata accanto a lei, «quanto di bello o brutto gli succedeva, l’allegria o la tristezza, esistevano solamente rispecchiate nel cuore di Varvara Aleksandrovna». Gli pare che la sua vita sia un mucchio di macerie, come quelle che vede intorno a sé.
Rivede sua moglie com’era, giovane, dalle mani abbronzate, gli occhi allegri; rivede la cucina chiara di sole dove ha sempre fatto colazione con lei, pronta a intuire cosa volesse mangiare; e si sente orribilmente solo. Non vuole lasciare la città nemmeno dopo il bombardamento che mette definitivamente fuori uso la Stalgres, perché, se non se ne va, gli pare di mantenere un legame con la sua vita passata, con Varvara.
Il romanzo ci ha condotto dunque in casa di un operaio e di sua moglie. Non sono le uniche case in cui siamo entrati o entreremo! Nell’opera grossmaniana c’è tutto un popolo: contadini, operai, minatori, scienziati, madri di famiglia, donne che lavorano nelle fabbriche e in campagna, bambine e ragazze, giovani, vecchi, orfani … tutti.
Per raccontare un mondo così vario, ecco la varietà dei toni. I due romanzi di Stalingrado conoscono la gravitas, ma anche la leggerezza divertita e divertente della commedia.
LA WEBSERIE “TONALITÀ” NELLE VARIE PUNTATE VI FARÀ ASCOLTARE TUTTI QUESTI TONI. VI DARANNO UN’IDEA DI COS’È UN GRANDE SCRITTORE!
Osservazioni spiritose, battute esilaranti nel dialogo tra i personaggi, specialmente quando si raccontano le seccature della quotidianità e l’insofferenza verso chi ci è più vicino.
Su Vasilij Grossman
Di Vasilij Grossman si è già occupata la nostra rubrica di letteratura. La famiglia di Vasilij Grossman (1905-1964) è ebrea, ed è ucraina, non parla yiddish, ma russo. La formazione di Grossman è la chimica, studia a Mosca e lavora nei primi anni Trenta come ingegnere nel bacino minerario del Donbass. In quegli anni decide di diventare uno scrittore, in russo. Ebreo, ucraino, russo, europeo, Donbass…. dovrebbe già essere scattato un campanello di attenzione nella vostra mente: luoghi e condizione di Grossman hanno a che fare con la crisi che ci affligge da almeno due anni.
Quando i tedeschi invasero l’Unione Sovietica era il 22 giugno 1941; Grossman si arruolò immediatamente e fu destinato a Stella Rossa, il giornale dell’esercito. Nell’ottobre ’42 fu a lungo a Stalingrado sulla riva destra del Volga, nel cuore cioè della guerriglia sovietica contro i tedeschi. Da questo momento in poi Stalingrado occupa progressivamente il centro della sua scrittura .
Nascono negli stessi anni, tra la metà degli anni ’40 e i primi anni ’60, opere di grande valore: e tra queste c’è un capolavoro: la dilogia di Stalingrado: Vita e destino (sequestrato dal KGB nel 1962), e il suo “prequel”, un romanzo scritto subito dopo la guerra, pubblicato in URSS col titolo Per una giusta causa all’inizio degli anni Cinquanta dopo uno strenuo braccio di ferro con la censura.
Per saperne di più consultate l’enciclopedia Treccani.
VISITATE SU ITALIANACONTEMPORANEA.COM
LA PAGINA DEDICATA
ALLA DILOGIA DI STALINGRADO ➡️.